Il Saggio di architettura storica pubblicato nel 1721 nasce come un’opera aperta, in cui J.B. Fischer von Erlach continuò per anni a riversare disegni e progetti sollecitati da stimoli di varia natura. Nelle sue tavole – integralmente riprodotte nel volume – si trovano accostati i grandi monumenti della tradizione occidentale, dal tempio di Salomone alle Meraviglie del mondo, a una serie di edifici del vicino e lontano oriente (dal mondo ottomano alla Cina): gli uni e gli altri posti sullo stesso piano dell’architettura barocca viennese in base al principio che “i gusti delle nazioni non differiscono in architettura più di quanto non capiti nelle maniere di vestirsi o di cucinare le carni”. Quale il significato di questa raccolta tanto stravagante quanto originale? Dobbiamo vedervi un primo, epocale, tentativo di andare al di là dei canoni consolidati della tradizione vitruviana? Oppure al contrario un’operazione essenzialmente etnocentrica, che proiettava sulla sfera dell’immaginario architettonico le mire universalistiche del colonialismo europeo? Tra interessi antiquari e curiosità per i mondi lontani, la crisi della coscienza europea nell’immaginario visivo di un grande architetto barocco.